Ispirata, mossa dal destino, da un’attrazione inconscia, da una curiosità intellettuale, mi ritrovai a varcare la soglia del Laboratorio Fotografico dell’Istituto Ortopedico Rizzoli per scoprirne l’incredibile contenuto. “Sublime!”, questo esclamai guardando per la prima volta un negativo su lastra di vetro risalente all’inizio del secolo scorso. Al primo sguardo una fortissima emozione si creò nella mia anima. Contemplai commossa l’immagine. Risultò magnifica, eccelsa, in senso estetico, intellettuale, etico, spirituale. Sperimentai interiormente una fascinazione misteriosa, un contagio puro, che trascese la contemplazione del bello, divenendo valore altissimo, eccellente. Fui sorpresa, meravigliata, folgorata dalla risorsa che stavo scoprendo. Fu colpo di fulmine, amore a prima vista.
Cos’è il Sublime? E’ il sentimento, l’effetto di un’opera o di un oggetto sull’animo umano. Sublime, dal latino sublimis (sub, “sotto”, e limen, “soglia”) è ciò che giunge fin sotto la soglia più alta, ciò che è ‘al limite’. L’immenso e originale patrimonio di Fotografia Medica Ortopedica, classificato cronologicamente e custodito in centinaia di antiche e impolverate scatole, oltre che rappresentare una straordinaria risorsa storica e scientifica, si rivelò ai miei occhi sublime materiale artistico, antico e contemporaneo.
I negativi che documentavano i pazienti in differenti fasi evolutive, nelle loro patologie, nel loro decorso clinico e trattamento terapeutico, sorte come riproduzioni del reale prive d’intenzionalità artistica, ri’fotografate nel presente risultarono al primo sguardo Opere d’Arte Contemporanea non premeditate. L’Arte si fa riconoscere per quello che è, ha una sua identità, una sua natura, un valore universale. Turba, si fa percepire con la ragione e con il sentimento. Crea una diversa interpretazione della realtà, una presa di coscienza, una visione interiore, un’intuizione, un’illuminazione, un insight. I soggetti rappresentati, con le loro peculiari caratteristiche estetiche, posture e imperfezioni corporee, mostravano un’intrinseca bellezza, una dignità senza tempo, immortale, circolare, essenziale, universale.
Percepii di essere entrata in contatto con un tesoro, un organismo in divenire, una creatura vitale con proprie declinazioni. Sognai questa mostra, la costruii con visionarietà prima dentro di me.
ll Sublime è un processo. Immaginai di inserire nella dinamica del Sublime alcune di queste straordinarie fotografie, rimaste per cento anni immobili, inerti, nascoste, sia fisicamente, mettendole in movimento, trasportandole dal buio sotterraneo alla luce del sole, che spiritualmente, creando un flusso che proseguisse nella mente e nelle emozioni di chi ne avesse fruito, sublimandole in Arte. L’intenzione fu quella di rompere gli schemi, travalicare gli spazi, irrompere trasversalmente, svelare, trasformare il negativo in positivo, il dolore in estasi, la malattia in bellezza. Il percorso aprì uno squarcio tra i mondi, tra le dimensioni del passato e del futuro, dell’invisibile e del visibile, del rimosso e del cosciente, della Scienza e dell’Arte. Ne scaturì una luce ‘sublime’. Ricavare le immagini in positivo da quelle in negativo fu tremendamente entusiasmante. Il disvelamento dei volti, dei dettagli, delle sfumature provocò in me stupore, meraviglia, incanto. Un’Opera d’Arte per esistere deve essere vista, deve essere visibile. Vidi Arte in queste immagini, per questo volli portarle alla luce. La mostra attuale, frutto di un’immersione profonda, di una ricerca, di un riconoscimento, è una scommessa sul futuro, oltre che un omaggio al passato. Impatta potentemente. E’ rivoluzionaria e innovativa, è frutto di una passione, di una scelta istintiva, inconscia e al contempo riflettuta e ponderata, che capovolge le prospettive, crea domande, interroga, apre una ricerca, congiunge pubblico e privato, esteriore e interiore, apparente e intimo. Sperimentai per prima su me stessa, come persona, filantropa, curatrice e collezionista d’arte, l’esperienza del sublime causata da queste fotografie. Esse contengono verità, quella della vita. Provocano, disorientano, turbano. I pazienti del secolo scorso, fotografati in modo seriale nel setting ospedaliero, si rivelano oggi, dal punto di vista dell’Arte, muse e modelli di una dimensione altra, onirica e visionaria. I loro corpi esprimono dignità e mistero; come statue rievocano le forme classiche delle opere antiche di Leonardo da Vinci o di Lorenzo Bernini; quelle contemporanee di Robert Mapplethorpe o di Vanessa Beecroft; quelle della moda proposte da Christian Dior o Jean Paul Gaultier. I corsetti ortopedici utilizzati per correggere, compensare e contenere l’apparato locomotore richiamano alla mente le opere Ready Made di Marcel Duchamp, le fotografie di Man Ray, le installazioni d’Arte Concettuale e d’Arte Povera. I soggetti appaiono simili a performer, a potenziali protagonisti di tableaux vivants, di Body Art, di Arte Fluxus, attori inconsapevoli di una pièce teatrale. Le immagini acquistano significato simbolico, sono frutto della trasfigurazione della vita in Arte, raccontano l’indicibile con una forza icastica universale, atemporale. Appaiono assolutamente contemporanee, risultato di ricerche e sperimentazioni innovative, in divenire; sono prova della capacità espressiva umana, raccontano un’esperienza, meravigliano, toccano il cuore, lasciano il segno. Questa mostra sarebbe probabilmente piaciuta a Frida Kahlo, artista – paziente che integrò nella sua opera Medicina Ortopedica, dolore e Arte. Risulta una profezia auto – avverantesi anche nella mia storia personale: nella pubertà fui per un breve periodo una paziente ortopedica costretta a portare un corsetto, soffrii e trovai nell’Arte la via per la sublimazione.
Che Sublime sia!
Rebecca Russo